Congresso Nazionale UNASAM

Relazione introduttiva della Presidente Gisella Trincas – Cagliari 30, 31 maggio, 1 giugno 2006

“Non c’è salute senza salute mentale”

Abbiamo scelto di tenere questo Congresso in Sardegna, per testimoniare l’apprezzamento e l’interesse di tutta l’Unasam verso una Regione che ha scelto di riconoscere alla questione “salute mentale” l’attenzione e la priorità che meritava, avviando un processo globale di cambiamento che investe tutti i servizi e gli operatori della salute mentale e l’intero sistema delle politiche sociali. Apprezzamento per Il Presidente Soru e per l’Assessore Dirindin che coraggiosamente, accogliendo le preoccupazioni delle associazioni dei familiari, hanno detto no ad un progetto di neomanicomializzazione già finanziato dalla Giunta precedente. Questo è un esempio concreto di come si può amministrare la cosa pubblica nell’interesse dei cittadini e delle fasce più deboli. Da questa rivoluzione Sarda è partito l’interesse di altre Regioni a promuovere analoghe azioni.
Il titolo di questo Congresso “Senza salute mentale la salute non è possibile” è una affermazione impegnativa, ma anche una sfida, che la Conferenza di Helsinky lancia per i prossimi anni: Per i cittadini la salute mentale è una risorsa che consente di conoscere il proprio potenziale emotivo ed intellettuale nonché di trovare e realizzare il proprio ruolo nella società, nella scuola e nella vita lavorativa. Per le società una buona salute mentale contribuisce alla prosperità, alla solidarietà e alla giustizia sociale. Sappiamo che non bastano le affermazioni di principio, che occorrono anche le azioni politiche concrete. In Italia, lo Stato riconosce e garantisce a tutti i cittadini il diritto universalistico dell’assistenza sanitaria, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali e afferma il principio dell’eguaglianza. Ma nei fatti, non sempre è così, chi meno ha (in termini di risorse ed opportunità) fa più fatica ad ottenere cure e assistenza e a veder rispettato il diritto a stare bene. Nella salute mentale la questione è ancora più marcata perché le persone che si trovano nelle situazioni di maggiore gravità e bisogno sono per lo più abbandonate e l’abbandono, abbiamo visto, produce dei seri danni. Alcune volte la causa è da ricercare nella scarsità di risorse messe in campo dal sistema sanitario, altre volte dal fatto che si utilizzano male le risorse, non si ha alcuna capacità di lavorare in rete, si privilegiano cattive pratiche.
Come ho già avuto modo di scrivere all’On.Livia Turco, Ministro della Salute, questo Congresso lo affrontiamo con maggiore serenità rispetto ai mesi scorsi in cui si ipotizzava di rimettere mano alla Legge 180. Riprendere quindi il confronto istituzionale con una posizione già chiara da parte del Governo ci pare confortante.
Nel documento programmatico del Presidente Prodi (che abbiamo avuto modo di incontrare durante una consultazione nazionale sulla salute mentale), sono ben definiti alcuni punti fondamentali:

- Applicare per intero la Legge 180.
- Chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari· eliminare la contenzione fisica e farmacologia
- Abolire l’elettroshock
- Favorire la diffusione in tutte le regioni dei dipartimenti di salute mentale
- Realizzare un sistema integrato di servizi radicato nei territori in grado di rispondere ai bisogni reali delle persone
- Assicurare la presa in carico, la continuità terapeutica e assistenziale
- Promuovere e valorizzare il protagonismo delle persone affette da disturbo mentale
- Sostenere la partecipazione delle associazioni dei familiari con aiuti concreti alle famiglie favorendo conoscenza e forme di auto aiuto.
- Riattivare il ruolo della cooperazione sociale nei progetti di vita delle persone; promuovere l’inserimento lavorativo e il recupero della contrattualità sociale delle persone con disturbo mentale.

Da questo Congresso vogliamo ribadire al Presidente Prodi (ma lo vogliamo far sentire chiaro e forte a tutto il Parlamento e a tutte le Regioni), che noi siamo pronti da tempo, come dimostra la nostra partecipazione nei diversi livelli istituzionali, nei momenti di confronto e dibattito (a volte anche aspri) che hanno permesso di mantenere viva, nell’opinione pubblica, l’attenzione verso un tema che riguarda potenzialmente tutti i cittadini: questione che non costituisce ancora punto centrale e prioritario dell’agire politico in tanta parte del territorio nazionale. Sappiamo per esperienza che le posizioni avanzate non si conquistano una volta per tutte. Tante volte, troppe volte, in questi lunghi anni c’è stato chi ha assunto impegni e chi il giorno dopo ne ha fatto carta straccia. Questa volta dipende da noi non fare nessun passo di arretramento nella difesa dei diritti delle persone con sofferenza mentale, non solo perché siamo familiari, ma, principalmente, perché non siamo sudditi passivi ma cittadini responsabili e consapevoli che credono nella Democrazia e nella partecipazione.
Non è stato facile in questi 30 anni di impegno personale e collettivo, di fatica e sacrifici, resistere e andare avanti, e pensiamo che non lo sia neppure da adesso in poi. Sappiamo che non è semplice per tutte le difficoltà e ostacoli incontrati, a vari livelli. Sappiamo anche che questa è la strada perché non ci può essere democrazia, libertà, giustizia sociale se continueranno ad esistere luoghi e pratiche che negano la dignità e la libertà delle persone, danneggiandole e privandole del diritto ad una esistenza degna di essere vissuta. E sono proprio le cattive pratiche che, oggi come 30 anni fa, portano familiari e rappresentanti di associazioni che si dichiarano contro la Legge 180 a tali affermazioni: “da quando è stata promulgata la Legge 180 il sofferente viene sedato con una dose pesante di psicofarmaci e rispedito a domicilio. Questa monotona cura dà i suoi frutti: i malati finiscono in tribunale, in carcere, si ubriacano, frequentano ambienti infamanti, preda di sfruttatori senza scrupoli. I centri di diagnosi e cura sono diventati porti di mare che accolgono sbandati di ogni genere. Con tali esempi non esiste recupero e il declino è costante e inevitabile…non è francamente un bello spettacolo essere ancorati da quasi trenta anni ad una legge vecchia e statica i cui fautori approfittano in ogni circostanza di ribadirne la validità con la frase “la 180 non si tocca” …Le famiglie sono compresse e si ribellano contro questa legge inadeguata e inoperante, che in questi trent’anni ha fatto più male che bene. Essa non è un dogma da sostenere ad occhi bendati, ma va riformata perché la psichiatria in Italia, così come a Trieste, ha bisogno di qualità di prestazioni moderne e di misurarsi con risultati concreti e visibili… Guardare e imparare come operano nel settore psichiatrico le altre nazioni europee non guasterebbe, così come non guasterebbe un po’ di umiltà da parte dei nostri psichiatri”.
Noi dell’UNASAM possiamo comprendere il dolore di questi familiari ma non condividiamo assolutamente le loro posizioni perché non si può attribuire ad una buona legge quadro la responsabilità personale e politica di ben individuabili governanti e amministratori inadempienti che con la loro inerzia, ignoranza e incompetenza hanno gravemente danneggiato migliaia di persone non garantendo quel sistema di intervento (indicato dalla legge 180 e ripreso ai Progetti Obiettivo Nazionali) che poteva assicurare in maniera tempestiva e continuativa quelle cure e quegli interventi, alternativi alla segregazione e all’abbandono. Laddove si è voluto e potuto (in tanti luoghi del territorio nazionale, nel sud come nel nord Italia, nelle città come nelle periferie, ) i risultati sono sotto gli occhi di tutti e anche in questi giorni (come in tante altre occasioni passate) ne avremo testimonianza.
Ho la responsabilità di evidenziare anche le contraddizioni esistenti tra gli stessi familiari. C’è chi ha scelto l’impegno e chi si è arreso, chi ha difeso in ogni modo la persona più fragile della famiglia e chi l’ ha abbandonata, chi gli ha dato risorse e opportunità e chi gliele ha tolte. Prima ancora di domandarci cosa il servizio pubblico di salute mentale deve fare per aiutarci a superare il problema, domandiamoci cosa noi vogliamo: siamo con loro o contro di loro. Possiamo veramente pensare che quella persona che un bel giorno inizia a cambiare, a isolarsi, a infastidire, che diventa insopportabile, sia un problema solo di altri! A cui pensiamo magari di delegare ogni cosa! O possiamo invece pensare (come tanti di noi già fanno) che è un problema innanzitutto nostro e che abbiamo bisogno di aiuto per affrontarlo e risolverlo. Aiuto competente, sensibile e tempestivo che deve arrivare da servizi territoriali di salute mentale diffusi nel territorio nazionale. In tutte le città e le periferie, nelle Regioni forti e in quelle più deboli. Sapete a quante persone accade che nessuno si ricorda del loro compleanno, quanti la domenica rimangono soli, quante Pasque e quanti Natali, quanti non vengono chiamati ai matrimoni, battesimi e feste di famiglia! A quanti non diciamo che è morta una persona cara! E crediamo pure di essere buoni perché non li facciamo soffrire!
La questione quindi riguarda tutti, nessuno escluso. Riguarda noi, gli operatori, gli amministratori, la politica, la comunità. Non è necessario vivere insieme se la convivenza è difficile da gestire a causa della malattia (e questo dobbiamo pretendere dai servizi di salute mentale), ma si può essere fratelli, sorelle, genitori anche abitando separati. Si può continuare a far sentire il proprio affetto e la propria comprensione senza escludere totalmente dalla propria esistenza “l’altro”, senza considerarlo “altro” da noi.
Ecco questo è ciò che noi chiediamo ai familiari che si avvicinano alle nostre Associazioni. Alcuni rimangono, altri non tornano più, altri ancora vorrebbero che ci facessimo carico totale anche dei loro problemi.
La nostra forza consiste nel fare insieme, nel costruire percorsi insieme, nella convinzione che insieme possiamo contribuire a realizzare una “società migliore”.
Cinque anni fa l’OMS ha avviato, con uno slogan tradotto in 45 lingue, la campagna per la salute mentale “Fermiamo l’esclusione e abbiamo il coraggio di Curare” Le Nazioni vengono sollecitate ad attivarsi per promuovere leggi innovative che incoraggino l’inclusione sociale. E noi, in Italia, che la legge innovativa l’ abbiamo da trenta anni, non siamo stati capaci di difenderla fino in fondo lasciando che politici e amministratori senza scrupoli, dirigenti incapaci e inadeguati non dessero conto delle loro gravi responsabilità.
l’OMS sostiene che non c’è bisogno di nuovi saperi psichiatrici (in quanto quelli che esistono oggi per rispondere ai problemi di salute mentale sono più che sufficienti) ma è la loro non applicazione che lascia posto ad interventi non umani, non etici, non accettabili. L’ospedale psichiatrico è ancora la risposta egemone nella quasi totalità dei paesi industrializzati pur sapendo che costa molto, non cura niente e fa male alla vita di tutti.
Si calcola che nel mondo, le malattie mentali colpiscono circa 450 milioni di persone; 140 milioni di persone hanno problemi di abuso di alcool, 45 milioni hanno un disturbo schizofrenico. Si spende in media per la salute mentale meno del 2% della spesa sanitaria. La questione quindi che fortemente si pone all’attenzione di tutti è che non c’è salute senza salute mentale e che occorre una mobilitazione mondiale per l’affermazione di questo diritto in ogni paese del mondo dal più ricco al più povero. L’Unasam è riconosciuta dall’OMS tra i partners fondamentali per diffondere e implementare nel mondo le buone pratiche in salute mentale, per difendere i diritti delle persone con sofferenza mentale, per promuovere politiche e legislazioni innovative.
E l’OMS considera la psichiatria pubblica italiana, un punto di riferimento di eccellenza per tutto il mondo grazie alla forza innovativa della Legge 180 e alle pratiche innovative che da Basaglia in poi hanno contaminato il Paese. Il suo lungo camino iniziato nel 61 nell’ospedale psichiatrico di Gorizia ha portato alla chiusura del primo ospedale psichiatrico del mondo: era il 1980 e accadeva a Trieste.
Sembra storia di un secolo fa e invece è storia recente che ha attraversato la vita di tante persone. Quelle stesse persone che senza tentennamenti, ma con fatica, ne hanno continuato l’opera, quelle persone alle quali ci siamo uniti in quegli straordinari anni 80 e con i quali oggi possiamo dire: l’Italia ripudia la guerra e i manicomi!
Quello straordinario e vitale processo di cambiamento non si è fermato, ha investito tutte le Regioni d’Italia, chiamato a raccolta operatori, utenti, familiari, sindacalisti, amministratori, direttori generali, assessori, presidenti di regione, intellettuali, artisti, preti, magistrati, giornalisti, giuristi… Un fiume in piena difficile da fermare: questa è la forza del pensiero Basagliano! La forza delle donne e degli uomini che hanno creduto possibile l’impossibile.
In un bellissimo libro di Nico Pitrelli “L’uomo che restituì la parola ai matti” tra le altre, ci sono due testimonianze che mi hanno colpito particolarmente perché trattano questioni ancora attuali:

* Un’infermiera racconta di quando lavorava negli anni 60 nell’ospedale psichiatrico di Trieste (1200 internati) “Mi ricordo un fatto che non dimenticherò mai. C’era una paziente un giorno che era allegra perché le avevano detto che entro poco tempo sarebbe uscita dal manicomio. Quando lo seppe si mise a cantare a squarciagola dalla gioia. La caposala la vide e secondo lei non poteva cantare dalla gioia, poteva cantare solo perché era pazza. Così ci obbligò a prenderla con la forza e a rinchiuderla in un camerino. Lei ovviamente si ribellò. Noi però dovevamo fare quello che ci diceva la caposala altrimenti rischiavano di perdere il posto di lavoro. Mi ricordo che la paziente ci diceva: ” Non ho fatto niente, non ho fatto niente, sono solo contenta”. E invece coi sedativi l’abbiamo rinchiusa in uno stanzino con un materasso per terra. Lì è rimasta cinque giorni solo perché cantava…”
* E ancora un’altra: “E’ stato bruttissimo. Sono entrata in ospedale nel settembre del 65, avevo venti anni. Mi hanno messa nel reparto M. C’erano solo donne. Certe nemmeno sembravano donne dopo tanti anni in manicomio. Sono entrata in questo salone enorme e ho detto “no, scappo via”. Ho cercato di resistere, e ho resistito. Sono rimasta là sette mesi. Poi il primario mi ha voluta in primo accoglimento, dove ho visto cose brutte: letti a rete, camerini d’isolamento…Lottare con i pazienti non era facile. Quando sono arrivati gli psicofarmaci le cose sono migliorate, ma allora no. C’erano delle ragazze di quattordici, quindici anni che una volta entrate in manicomio tentavano il suicidio. Sono stata presente tante volte alla terapia dell’elettroshock. Durante la notte noi infermiere dovevano preparare le siringhe e il mattino dopo arrivava l’anestesista, faceva l’anestesia a queste persone, e poi..”

Perché insistiamo a raccontare queste storie: perché c’è ancora tanta voglia di manicomio in questo Paese, tanta voglia di escludere, allontanare, emarginare, prevaricare, perché tante persone sono ancora oggi trattate così: violate nei loro corpi e calpestate nella loro dignità, private dei diritti fondamentali; perché è ancora in pericolo la Legge 180 e la stessa Carta Costituzionale.
Ci sono forze politiche ed economiche che hanno posizioni diametralmente opposte alle nostre, che strumentalizzano il dolore e la disperazione dei familiari, che canalizzano le risorse finanziarie verso altri settori di intervento forse meno importanti della salute mentale, che avviano indagini conoscitive inutili e fuorvianti.
Forze che mettono ostacoli, che frenano, che condizionano, che inibiscono, che sembra vogliano impedire la piena attuazione di quei principi costituzionali di libertà, eguaglianza, giustizia sociale e solidarietà (intesa non come pietà, ma principio secondo cui ognuno da secondo le proprie possibilità e riceve secondo i propri bisogni) quei principi fondamentali su cui si fonda la nostra Repubblica. Forze che hanno interesse a mantenere larghe fasce di popolazione in condizione di bisogno perenne.
Noi abbiamo individuato i nostri interlocutori istituzionali da tempo e dobbiamo recuperare anche gli impegni già assunti durante la Conferenza Governativa sulla salute mentale del 2001. Con alcuni il confronto è già avviato con altri (Ministero della Salute, le Commissioni Parlamentari, la Conferenza delle Regioni) riprenderà presto.
Nel nostro programma di lavoro e di confronto, le questioni principali sulle quali ci continueremo a misurare sono:

* La destinazione di non meno del 5% dei fondi sanitari regionali alla salute mentale (impegno già assunto dalla Conferenza delle Regioni) e la destinazione degli utili ricavati dalla dismissione degli ex OO.PP alla salute mentale;
* L’elaborazione di Progetti Obiettivo Regionali per la tutela della salute mentale nell’età evolutiva;
* L’assunzione di precise linee guida che impediscano qualunque pratica coercitiva e lesiva della dignità della persona e l’istituzione di un “ufficio reclami” in cui segnalare gli abusi;
* La garanzia che in tutte le regioni vengano definiti i dipartimenti di salute mentale con i centri di salute mentale aperti 24 ore su 24 con alcuni posti letto per evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri. Punto centrale del lavoro nei centri deve essere l’umanizzazione dei rapporti con gli utenti e il sostegno forte e qualificato alle famiglie, il loro coinvolgimento nella definizione di programmi e percorsi di guarigione.
* Gli stessi utenti dei servizi di salute mentale potrebbero essere parte attiva nel funzionamento dei centri di salute mentale ed essere impegnati, attraverso una specifica formazione, quali “facilitatori” e “accompagnatori”, o per la gestione di alcuni servizi del centro di salute mentale
* Non più luoghi ghettizzanti e separati, ma pensare a luoghi di aggregazione e espressione artistica aperti a tutti, nei quartieri anche più periferici, con la collaborazione attiva degli stessi utenti. Luoghi in cui non ci si senta “esclusi” dalla normalità di vita. Luoghi in cui sia possibile ripensare e progettare la propria vita.
* I percorsi di ripresa passano attraverso una diversa concezione della residenzialità, per cui non più “istituti di lunga degenza” ma case vere di piccole dimensioni (6/8) persone massimo, nel contesto urbano, a diversa intensità di protezione (intesa come sostegno) secondo i bisogni dei suoi residenti. Favorire inoltre la co-abitazione tra persone che non hanno necessariamente bisogno di assistenza diretta ma di un sostegno a ricostruire il loro tessuto affettivo, sociale e relazionale e ad intraprendere percorsi emancipativi.
Esistono diverse esperienze di buona residenzialità promosse da Associazioni di familiari e utenti che andrebbero valorizzate e diffuse.
* Il ricorso ai trattamenti sanitari obbligatori si può prevenire non abbandonando i casi più problematici (mantenendo un costante contatto, ad esempio, con i medici di medicina generale) e comunque devono essere effettuati nel pieno rispetto della procedura indicata dalla Legge 180.
* Il processo di deistituzionalizzazione va completato superando tutte quelle realtà totalizzanti che ancora permangono. Ogni Regione deve procedere ad una attenta verifica delle situazioni locali, ai luoghi e alle condizioni di vita delle persone che vi sono accolte.
* Le Regioni devono attivare protocolli di intesa con il Ministero della Giustizia per il graduale svuotamento e superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari
* Il carcere è incompatibile con la condizione di sofferenza mentale, occorre pensare con urgenza a delle misure alternative personalizzate.
* Va favorito il coinvolgimento di tutti gli operatori della salute mentale (pubblici e privati) nel processo di cambiamento, anche attraverso percorsi di riqualificazione e formazione continua
* I servizi devono riconoscere le famiglie, le reti amicali e le associazioni dei familiari come risorsa importante nei processi di cura ed emancipazione. Le Associazioni dei familiari e degli utenti devono essere riconosciute e sostenute dalle Regioni e dagli Enti locali, quali promotrici di progresso civile
* Vanno favoriti i rapporti di collaborazione tra i servizi di salute mentale e la cooperazione sociale e le Onlus, per favorire i percorsi di ripresa e di guarigione attraverso la casa, il lavoro, le relazioni affettive, il tempo libero
* Le Regioni devono elaborare piani sociali attuativi della Legge 328/2000
* Le Regioni devono favorire la piena occupazione per prevenire situazioni di disagio sociale “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” (libera quindi da bisogno)

Noi siamo una Federazione, importante e considerevole, di associazioni; siamo una grande forza dentro un vasto movimento di persone e organizzazioni di grande rilevanza sociale, culturale e scientifica. Tante di queste sono presenti e altre arriveranno domani e dopo. Siamo una ricchezza straordinaria per il Paese, un grande valore aggiunto. La nostra forza deve pesare perché non possiamo permetterci ulteriori ritardi.

Grazie.

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