Audizione UNASAM presso la Commissione Sanità del Senato

17 GENNAIO 2006

La Federazione che rappresento, l’Unasam, nasce con atto notarile a Roma nel 1993 per volontà delle Associazioni promotrici impegnate in gran parte del territorio nazionale; le stesse che costituivano il Coordinamento Nazionale Salute Mentale.
La storia delle nostre Associazioni inizia a Torino nel 1967 con la lotta al Manicomio di Grugliasco, si sviluppa sensibilmente nei primi anni 80 (dopo l’approvazione della Legge di Riforma Psichiatrica n°180), ma è negli anni 90 che la nostra organizzazione si diffonde e radica su tutto il territorio nazionale promuovendo azioni concrete e proposte per sensibilizzare le forze politiche e le istituzioni affinché sia rispettato il diritto alle cure dei nostri familiari e il diritto alla salute mentale di tutti i cittadini.
Attualmente rappresentiamo oltre 150 Associazioni impegnate in tutte le Regioni d’Italia (e altre, non aderenti ad Associazioni Nazionali, fanno riferimento alle nostre organizzazioni locali). In una recente intervista a Il Resto del Carlino, il sottosegretario alla Sanità Cursi ha dichiarato che “le famiglie dei malati sono state sempre vicine alle istituzioni per far modificare la legge 180″. Non siamo noi e non permettiamo di essere strumentalizzati.
Noi sappiamo bene di cosa abbiamo bisogno e conosciamo i nostri diritti; sappiamo altrettanto bene quali sono le responsabilità ed inadempienze istituzionali.
Con senso di responsabilità e spirito di collaborazione, abbiamo contribuito alla approvazione dei due Progetti Obiettivo Nazionale Salute Mentale. Abbiamo lavorato, in collaborazione con il Ministero della Salute, alla realizzazione della 1° Conferenza Governativa sulla salute mentale tenutasi nel 2001. I dati sui servizi presentati alla Conferenza hanno evidenziato che un importante passo avanti verso la costruzione di un sistema di intervento dipartimentale era avvenuto in diverse parti del paese (1045 strutture residenziali, 1132 ambulatori, 695 centri di salute mentale, 481 centri diurni, 257 day hospital, 320 servizi psichiatrici di diagnosi e cura. Numeri aumentati sensibilmente nella rilevazione Ministeriale del 2001. Lo Stato, attraverso i suoi Ministri, aveva assunto impegni precisi e solenni che non ha rispettato, lasciando che nelle regioni si producessero venti diversi sistemi sanitari:
· Alcuni servizi territoriali di salute mentale sono attivi 24 ore su 24, garantendo cure, interventi riabilitativi ed emancipativi, lavoro di rete; in molti altri, invece, l’unico intervento (quando non di totale abbandono) è di tipo ambulatoriale (pochi giorni di apertura per poche ore) con interventi prevalentemente di tipo farmacologico (poco o quasi per nulla monitorati) che non migliorano le condizioni di salute delle persone interessate e lasciano le famiglie nella disperazione;
· In molti servizi i trattamenti sanitari obbligatori sono la norma, in pochi altri l’eccezione
· In alcuni servizi di diagnosi e cura le porte sono aperte e non si legano i pazienti, in altri (la stragrande maggioranza) le pratiche sono coercitive, si legano i pazienti, si sequestrano lacci e cinture, si umilia la loro dignità di persona (si dovrebbero rilevare i casi di suicidio dopo le dimissioni da questi luoghi): pratiche indegne di un paese civile.
· Alcuni servizi praticano l’elettroshock, altri lo hanno totalmente bandito.
· Alcune regioni (vedasi ad esempio il Lazio) hanno privilegiato il finanziamento delle cliniche psichiatriche private, aumentando considerevolmente le rette, togliendo risorse fondamentali ai servizi territoriali (allegato A); altre (come la Sicilia) hanno un numero rilevante di strutture residenziali private non di qualità, fuori da qualunque controllo da parte dei dipartimenti di salute mentale, separate dal contesto sociale, con elevato numero di posti letto e costi altissimi per le Aziende Sanitarie (sono state denunciate dai familiari situazioni di estremo degrado); altre ancora (come la Lombardia) hanno smantellato nel 97 l’Ufficio Psichiatria, che fino a quel momento aveva costituito un importante centro di osservazione e di intervento. Al posto della programmazione si è creato un mercato di servizi sanitari, socio-sanitari e assistenziali promuovendo l’ingresso di nuovi gestori e favorendone la concorrenza. Si è equiparato il pubblico con il privato, aprendo la strada alla gestione privata dei dipartimenti di salute mentale. L’aspetto più critico messo in luce dalle Associazioni della Lombardia è la mancanza di risorse e il continuo depauperamento delle poche disponibili. Si riduce il numero degli operatori e si tagliano servizi; i centri di salute mentale sono definiti “centri psico sociali” nessuno è aperto nelle 24 ore e molti neppure il sabato mattino. L’assistenza domiciliare è molto carente e i rapporti con i familiari sono aggravati dall’uso strumentale della legge sulla privacy (allegato B). Nella Regione Abruzzo, l’Associazione dei familiari chiede il veto alla riorganizzazione di mega strutture per pazienti psichiatrici (allegato C). Ci sono poi realtà come la Regione Sardegna in cui si è avviato un processo di profondo cambiamento culturale e pratico (ad esempio la Giunta Regionale ha annullato una delibera con la quale si finanziava la realizzazione di una struttura di tipo carcerario) ponendo la questione della salute mentale tra le cinque priorità, accogliendo le istanze delle Associazioni dei familiari (allegato D). Anche in Calabria, Puglia e altre regioni meridionali gli intenti sono positivi. Registriamo il buon esempio del Dipartimento di salute mentale di Aversa (regione Campania) che nel giro di due anni ha organizzato i centri di salute mentale nelle 24 ore, ha abbandonato la contenzione e aperto le porte del servizio di diagnosi e cura, ha riconvertito le strutture residenziali favorendo la nascita di piccole residenze e il sostegno alla cooperazione sociale. Nella stessa regione Campania, si registra, di contro, ad esempio nella città di Napoli, un grave stato di malessere (oltre che dei familiari e dei loro congiunti) degli operatori della salute mentale costretti a turni e reperibilità massacranti. Altra situazione critica è descritta dal Coordinamento della Regione Emilia Romagna che pone l’accento sulla insufficienza del sostegno alle famiglie attraverso l’assistenza domiciliare e le strutture residenziali pubbliche con insufficiente assistenza e assenza di attività riabilitative (allegato E). Nella Regione Marche viene segnalata la necessità di interventi migliorativi della qualità delle prestazioni, in particolare nelle strutture residenziali e semiresidenziali, e la necessità che i centri di salute mentale vengano aperti 24 ore su 24. Non si segnalano pratiche coercitive o particolari condizioni di disagio. Nella Regione Toscana si registra la volontà politica di migliorare la qualità e quantità dei servizi e delle prestazioni (allegato F). In Piemonte si registra una situazione mediamente discreta per quanto riguarda l’assistenza domiciliare e il sostegno alle famiglie. Non esistono palesi situazioni di particolare degrado anche se è difficile per le Associazioni del territorio vigilare sui luoghi “chiusi”. Assessore alla Sanità e Giunta Regionale hanno assunto precisi impegni per un cambiamento radicale della situazione. Nella Regione Friuli, nonostante l’ottimo esempio di Trieste, viene segnalata insufficienza numerica degli operatori per realizzare l’assistenza domiciliare in modo efficace. Si teme un ritorno alle “case protette” e si sollecitano case famiglia per utenti anziani non autosufficienti.

Per una migliore conoscenza di altre realtà regionali si allegano gli atti del seminario interno Unasam tenutosi a Roma il 4/5 marzo 2005.

Cosa fare quindi:

La recente Conferenza di Helsinky (alla quale hanno partecipato i Ministri degli Stati Europei – per l’Italia il Sottosegretario Guidi) ha ribadito che “…la salute mentale e il benessere mentale sono fondamentali per la qualità della vita, poiché consentono di dare un significato alla vita e di essere cittadini attivi e creativi. La salute mentale è una componente basilare della coesione sociale, della produttività, della pace e della stabilità nell’ambiente di vita, poiché contribuisce allo sviluppo del capitale sociale e dell’economia della società. La salute mentale pubblica e stili di vita che propizino il benessere mentale sono fondamentali per raggiungere questo obiettivo. La promozione della salute mentale migliora la qualità della vita e il benessere mentale dell’intera popolazione, incluse le persone che soffrono di questo tipo di disturbi e i loro “carers”. L’elaborazione e la realizzazione di piani efficaci per promuovere la salute mentale non potrà che migliorare il benessere mentale di tutti.” La Conferenza di Helsinky indica, inoltre, quale centro leader per lo sviluppo dei servizi di salute mentale territoriali in Europa, il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. E’ a quel modello organizzativo e a quelle buone pratiche (che ritroviamo anche in altri servizi pubblici di salute mentale) che guardiamo con fiducia per lo sviluppo delle buone pratiche in tutte le regioni (vedasi allegato G).
Lo Stato deve onorare un debito mai pagato a migliaia di cittadini (nostri familiari) ai quali è stato negato o ritardato il diritto alle cure e ai percorsi di ripresa. Una delle sfide lanciate dalla Conferenza di Helsinky evidenzia l’importanza di “Offrire assistenza efficace in servizi di comunità alle persone che soffrono di gravi problemi di salute…E’ essenziale riconoscere e sostenere il diritto delle persone a ricevere i trattamenti e gli interventi più efficaci e di essere esposti, al tempo stesso, ai minori rischi possibili, sulla base delle aspettative e delle esigenze individuali e tenendo nella debita considerazione la cultura e la religione di appartenenza, il sesso e le aspirazioni. Le evidenze e le esperienze in molti Paesi supportano la necessità di sviluppare una rete di servizi di comunità, che includono anche i letti d’ospedale. Nel ventunesimo secolo non c’è posto per trattamenti e cure inumane e degradanti nelle grandi istituzioni: un numero sempre crescente di paesi ha chiuso la maggior parte dei propri ospedali psichiatrici e sta attualmente realizzando efficaci servizi di comunità. Una considerazione particolare va data alle esigenze emotive, economiche ed educative delle famiglie e degli amici, che spesso si occupano in modo intensivo dell’assistenza e della cura e che altrettanto spesso hanno bisogno a loro volta di essere sostenuti”
Certo, le risorse finanziarie messe in campo in questi anni si sono dimostrate assolutamente insufficienti e i progetti obiettivo sono rimasti per lo più inapplicati. Nonostante ciò si sono sviluppate in tutte le regioni esperienze di buone pratiche che hanno restituito speranza di guarigione alle persone e serenità alle famiglie. L’obiettivo comune da perseguire, resta la lotta a qualunque luogo o forma di negazione dei diritti fondamentali della persona (primo fra tutti il diritto di cittadinanza); il riconoscimento del valore di ogni singola persona, il riconoscimento del loro diritto alla libertà e alle cure migliori possibili.

Noi ci attendiamo dallo Stato e dalle Regioni queste semplici cose:

  1. la destinazione del 5% dei fondi sanitari regionali alla salute mentale;
  2. la destinazione degli utili ricavati dalla dismissione degli ex OO.PP. ai servizi territoriali di salute mentale;
  3. La garanzia che in tutte le regioni vengano definiti i dipartimenti di salute mentale con l’attivazione dei centri di salute mentale 24 ore su 24 con alcuni posti letto per ricoveri filtro. Punto centrale del lavoro dei centri di salute mentale deve essere l’umanizzazione dei rapporti con gli utenti, il sostegno forte e qualificato alle famiglie e il loro coinvolgimento nella definizione di programmi e percorsi riabilitativo-emancipativi personalizzati che superino l’attuale prevalente impostazione di tipo ambulatoriale;
  4. I percorsi di ripresa passano anche attraverso la residenzialità. Noi chiediamo che siano di piccole dimensioni (6/8 persone massimo), nel contesto urbano, a diversa intensità di protezione, somiglianti alle case vere. Case intese come luogo e spazio di ripresa orientate proiettate verso l’autogestione. La permanenza nelle strutture deve essere garantita per tutto il tempo che occorre perché non si possono predefinire i tempi entro cui riacchiappare la propria esistenza. Devono essere valorizzate e diffuse le esperienze di buona residenzialità che in tante Regioni sono state attivate; alcune promosse dalle Associazioni dei familiari e degli utenti.
  5. Il trattamento sanitario obbligatorio non deve costituire la norma negli interventi di urgenza. Chiediamo il pieno rispetto della procedura indicata dalla legge 180 e l’emanazione di protocolli aziendali. Deve essere vietato il ricorso a qualunque mezzo di contenzione (avviene nella stragrande maggioranza di servizi ospedalieri) e l’uso spropositato di psicofarmaci;
  6. Va completato il processo di deistituzionalizzazione e impedita la nascita di nuove strutture di tipo manicomiale. Gli ospedali psichiatrici giudiziari hanno dimostrato il loro fallimento e rinchiudervi dei cittadini con sofferenza mentale si traduce di fatto nella negazione del loro diritto ad essere curati. Continuano ad essere inviati negli O.P.G. giovani abbandonati dai servizi di salute mentale. Chiediamo protocolli di intesa tra le Regioni e il Ministero della Giustizia per il graduale svuotamento e superamento di tale istituzione;
  7. Va garantito il sostegno alla cooperazione sociale per l’inclusione sociale, attraverso il lavoro delle persone con sofferenza mentale;
  8. Combattere stigma e pregiudizi deve costituire azione prioritaria. Le istituzioni e i cittadini, ognuno per la parte che gli compete, possono intervenire con strumenti informativi e formativi, favorendo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà.
    La Presidente
    Gisella Trincas
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